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6 Agosto 2014
Gli approfondimenti
 

Franco Marini su Il Foglio – La sconfitta dell’Europa, mai più centro del mondo

Cosa sarebbe stata l'Europa senza la Prima guerra mondiale? Su questo tema si interroga Franco Marini, presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, in un articolo  pubblicato il 2 agosto scorso sul quotidiano Il Foglio.
 
L'incendio divampò cento anni fa, tra il 28 luglio ed il 4 agosto. Era trascorso un mese dalla scintilla, l'assassinio a Sarajevo dell'erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando. In tutta Europa la parola passa agli eserciti. Dopo quasi cinquanta anni di pace torna la guerra sul vecchio continente. E non è la guerra del passato, limitata nel tempo, nello spazio, nella partecipazione di uomini, nell'uso di mezzi; è la guerra moderna, la guerra totale, la Grande Guerra appunto, che tutto devasta, travolge, deforma. <Eravamo dei cittadini laboriosi, siamo diventati degli assassini, dei macellai, dei ladri, degli incendiari> dirà più tardi lo scrittore austriaco Robert Musil.
Certo, il fragore dei cannoni non giunge improvviso. Per cancellerie e stati maggiori la guerra rappresentava molto più che un accademico tema di discussione: la Germania disponeva già da un decennio di un minuzioso disegno militare, il piano von Schieffen, per aggredire la Francia (a sua volta dotata del "piano XVII")ad ovest e la Russia ad est. Governanti e militari di tutte le nazioni belligeranti condividevano la medesima certezza, rivelatasi poi il più spaventoso degli errori: grazie ai progressi della tecnica la guerra sarebbe stata rapida, questione di poche settimane e qualche migliaio di caduti. Invece le settimane divennero mesi, cinquanta, e i caduti milioni, sedici, tra soldati e civili. Prima della fine del '14 il fronte occidentale aveva mietuto già un milione di vite. Ma la "certezza" tarda a crollare. In Italia, che entra nel conflitto a maggio del '15 a fianco dell'Intesa, si continua a pensare che per Natale i fanti sarebbero tornati a casa: nel suo "Storia politica della Grande Guerra" Piero Melograni riporta un colloquio dell'agosto tra Francesco Saverio Nitti e il presidente del Consiglio Salandra in cui quest'ultimo si mostra convinto che la guerra non durerà oltre l'inverno.
All'alba del ventesimo secolo dire Europa era dire mondo. Non solo per l'estensione territoriale dei suoi imperi e stati. Esisteva un solo modello di civiltà, ed era quello europeo. Il secolo della modernità si presentava come il secolo europeo. Nell'aprile del 1900, all'esposizione universale di Parigi nei mirabolanti padiglioni di 58 Paesi si aggirano 50 milioni di visitatori. Il canale di Suez era stato inaugurato già da 30 anni e i lavori per il traforo del Sempione, venti chilometri sotto la montagna, la più lunga galleria ferroviaria del mondo fino al '900 avanzato, procedono spediti. Sono gli anni della fede nel progresso scientifico, ripagata del resto dalle scoperte e dalle innovazioni nei più diversi campi, dalla medicina all'ingegneria. Musicisti, pittori, poeti, uomini e donne di spettacolo si esibiscono ed espongono le proprie opere nelle grandi capitali come nelle città meno titolate. Tutta l'Europa diventa un unico palcoscenico.
Proprio questa Europa però, a cavallo tra luglio e agosto del 1914, si incammina verso il suicidio. Il poeta francese Paul Valéry si esprimerà così dopo il conflitto: <Constatiamo ora che l'abisso della storia è grande abbastanza per tutti. Sentiamo che una civiltà è fragile come una vita>.
Ruggini territoriali mai sopite, pulsioni nazionaliste, competizione commerciale, lotta per l'accaparramento delle aree coloniali da sfruttare per le materie prime e, sul piano interno ai singoli Paesi, movimenti indipendentisti, agitazioni sociali, preoccupazioni dei regnanti per il cammino della democrazia, tensioni ricorrenti nell'economia e nella finanza forniscono legna per l'incendio che, prima o poi, sarebbe stato acceso. L'industria militare bruciava acciaio e sfornava armi di sterminio sempre più potenti. Suonano dunque come previsione più che profezia le parole pronunciate nel 1895 (!) dall'uomo che qualche anno dopo avrebbe ricevuto il premio Nobel per la pace, il francese Frederic Passy: <un incidente imprevisto, un caso ineluttabile perché le scintille cadano in un attimo su quei mucchi di materiale infiammabile che si stanno follemente ammassando ... e facciano saltare in aria, fino al cielo, tutta l'Europa>.
E l'Europa saltò. Gli eserciti vanno al fronte tra ali di folla plaudente ed entusiasta a Berlino come a Parigi, a Londra come a Vienna e San Pietroburgo. Artisti, scienziati, filosofi inneggiano alla guerra quale mito rigeneratrice delle coscienze e dello spirito infiacchito dagli anni decadenti e materialisti della Belle Epoque. Poche voci si odono fuori dai cori interventisti e bellicisti. Anche le ferme e insistite parole di Benedetto XV restano inascoltate. Niente può fermare <gli ultimi giorni dell'umanità>. Ma quando, finalmente, cala il sipario sul massacro, il vero cambiamento è la perdita di centralità dell'Europa. Null'altro muta. Ha scritto nelle scorse settimane Claudio Magris: <La strage fu, a parte ogni altra considerazione, veramente "inutile", come la definì Benedetto XV perché alla fine della carneficina i problemi che l'avevano scatenata rimasero irrisolti o ancora più acuti. I massacri di Verdun, del Carso, di Leopoli ("tomba dei popoli") lasciarono un'Europa devastata e avvelenata dai vecchi problemi - i confini, le nazionalità, il nuovo ruolo delle masse, i conflitti sociali - ancora più gravi>.
Cosa sarebbe stata l'Europa senza la prima guerra mondiale? Se, come si dice, con i "se" non si fa la storia è pure possibile affermare che, al di là di ogni altra considerazione, la Grande Guerra apre la strada agli inumani totalitarismi che, neanche trent'anni dopo, provocarono il secondo disastro mondiale perché, come ha osservato lo storico americanoLawrence Sondhaus in un'intervista recente <il retaggio forse più impressionante della prima guerra mondiale è il contributo all'assuefazione di milioni di persone alla brutalità, alla disumanità, agli immani massacri della guerra dell'età industriale. Questa assuefazione rese possibili carneficine ancora più immani della seconda guerra mondiale e, a ben guardare, ne fu il prerequisito>.
Dopo l'agosto del '14 l'Europa dovrà attendere trentuno anni perché, sul suo suolo torni a soffiare la pace. E alcuni grandi uomini, tra cui De Gasperi, Adenauer e Schuman, perché l'Europa cominci a pensarsi come una casa comune: è il sogno dell'integrazione del continente perché "mai più" ci sia un europeo che leva il fucile contro un altro europeo e si apra una stagione di prosperità e progresso che solo la pace può permettere.
Dalla firma dei Trattati di Roma sono trascorsi poco meno di sessant'anni. La Comunità europea, dai sei paesi iniziali è giunta ad un un'Unione di ventotto membri. Un lungo percorso è stato compiuto ma oggi, proprio oggi, sembra di risentire quelle parole pronunciate da Alcide De Gasperi quando la sua personale stagione volgeva al termine: <L'Europa esiste ma è ancora incatenata. Per unire l'Europa vi è da edificare, da gettar via un mondo di pregiudizi, un mondo di paure>.
Solo chi non ragiona può pensare il proprio Stato, per quanto grande o forte, fuori dall'Europa. Ma l'Europa fatica a diventare più di un ambiente dove si commercia, si lavora, ci si muove liberamente, senza confini e dogane. Il patrimonio culturale comune degli europei è ancora una piccola pianta da innaffiare. E il centenario della Grande Guerra sarebbe potuta essere una occasione speciale mentre, per lo più, si procede in ordine sparso, come sottolineato non senza amarezza dal presidente Napolitano alla vigilia del concerto di Redipuglia il 6 luglio scorso.
L'Italia e l'Europa. L'Europa e l'Italia. Su questo binomio il Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale ha voluto costruire il programma delle commemorazioni per il centenario. Perché se da un lato esso si pone in continuità ideale con la celebrazione dei 150 anni dell'unità d'Italia avendo il conflitto 15/18 assunto un rilievo indiscutibile nella strutturazione del sentimento nazionale e nella definizione di una precisa identità del giovane Stato italiano, dall'altra se ne distanzia perché il quadro d'esame, le riflessioni, superano i confini nazionali per approdare, appunto, alla dimensione europea. Questo doppio binario è, non a caso, emblematicamente effigiato nelle due prime iniziative già realizzate: da un lato le mostre ospitate nel mausoleo del Vittoriano, lì dove riposano dal 1921 le spoglie del Milite Ignoto ("La prima guerra mondiale. Materiali e Fonti" e "Teatri di guerra. Foto di Luca Campigotto") e dall'altro il concerto di Redipuglia, diretto dal maestro Muti, in onore <dei caduti di tutte le guerre>, alla presenza del Presidente Napolitano e delle massime autorità di Austria, Slovenia e Croazia.
Naturalmente noi vogliamo spendere la nostra azione perché si faccia memoria di quello che è stato per l'Italia il primo conflitto mondiale. Ricordare quel contesto, con le conseguenze tragiche e le straordinarie prove di generosità che lo caratterizzarono, con le vittorie e le sconfitte - non solo militari - che ne segnarono il percorso, con le illusioni e le delusioni che mobilitarono il sentimento nazionale. Per queste ragioni abbiamo voluto il recupero dei più significativi luoghi della memoria, dei sacrari che custodiscono le spoglie degli oltre seicentomila caduti ai quali rinnoviamo con commozione l’omaggio e la gratitudine. Abbiamo chiesto, in accordo con il Ministero dei Beni Culturali, ai comuni di fare altrettanto con i monumenti sparsi su tutto il territorio nazionale. Vogliamo promuovere la massima conoscenza di quella tragica stagione affinché quanti più italiani, a partire dai giovani e dagli studenti - da qui un rilievo particolare è dato alla collaborazione con il Ministero dell'istruzione - possano avvicinarsi a eventi, luoghi, protagonisti, ragioni e torti, vita al fronte - dal Carso all'Adamello - e nelle "retrovie", conseguenze tragiche della guerra e straordinarie prove di generosità che la caratterizzarono. Se si può sintetizzare il fine del lavoro del Comitato in occasione di questo centenario allora l'espressione adatta è <conoscere la guerra per amare la pace>. E, con la pace, l'Europa. Purché essa recuperi il sogno dei padri fondatori e, come denunciato dal presidente del Consiglio nel discorso alle Camere del 2 luglio, non diventi <la terra di mezzo delle burocrazie, dei cavilli, delle norme regolamentari che perdono il senso dell'ideale, perché quei milioni di giovani non sono morti perché ci azzuffassimo intorno ad un parametro. Sono morti perché noi dessimo una prospettiva di orizzonte, di pace e di libertà>. 

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