Il volto femminile della guerra
“E anche al mi' marito tocca andare a fa' barriera contro l'invasore, ma se va a fa' la guerra e po' ci more rimango sola con quattro creature”. Si racchiude nelle poche strofe di un canto popolare toscano del 1917 il tormento delle donne 'abbandonate' durante gli anni del conflitto.
Protrattasi per quasi cinque lunghi anni, la Grande Guerra non cambiò soltanto le sorti dell'Europa ma trasformò il mondo femminile, assegnandogli un nuovo posto nella società.
Se allo scatenarsi delle prime ostilità sembrava essersi rafforzata la distinzione tra i due sessi, proponendo per gli uomini il mito del difensore della Patria e per le donne la figura dell’angelo del focolare, con il passare dei mesi questo quadro cambiò radicalmente. Perché sul finire del 1914 un'intera generazione di maschi, chiamata alle armi, aveva lasciato la propria casa, e la gestione delle città fu ben presto affidata alle spose, alle madri e alle figlie dei soldati. Costrette a rimpiazzare i posti lasciati vacanti, le donne iniziarono a darsi da fare anche nei settori di attività dove erano da sempre state escluse e fu quindi un proliferare di spazzine, autiste di tram, operaie, postine, infermiere, contadine, impiegate di banca e dell'amministrazione pubblica. Una vera rivoluzione per l'epoca.
I loro mestieri differivano in base al ceto sociale. Ad esempio coloro che appartenevano alle classi popolari si occupavano generalmente di mansioni faticose e spesso lavoravano nelle fabbriche di armi e munizioni. Le borghesi, invece, vennero impiegate soprattutto negli ospedali militari come infermiere, per fornire assistenza ai malati e alleviare le loro sofferenze. Vi erano poi le tante vedove e orfane che, in cambio di poche lire, si concedevano per dare "conforto" ai militari e, iniziando a spostarsi insieme all'esercito, diventarono delle vere e proprie 'embedded del sesso'. In Italia questa condotta fu subito ridimensionata da una circolare di Cadorna dell’11 giugno 1915 che ammetteva gli incontri con le prostitute solo nelle ‘case di tolleranza’, allestite dietro le linee, come unico svago istituzionalmente accettato e regolamentato.
A seguito delle truppe vi erano anche le reporter di guerra che, salvo censure, raccontavano la vita da campo o semplicemente erano assoldate per fare propaganda. Tra le pioniere del giornalismo di guerra ricordiamo la scrittrice francese Colette, le americane Nellie Bly e Peggi Hull, e l'italiana Annie Vivanti la quale cercò di difendere la causa nazionale sulle colonne dei principali quotidiani inglesi. In Italia, ma nella sola zona del Friuli Venezia Giulia, a muoversi nelle retrovie dei campi di battaglia vi erano le Portatrici Carniche, eroine coraggiose che raggiungevano a piedi i depositi e i magazzini militari per recuperare viveri e munizioni da consegnare ai soldati impegnati al fronte. Camminavano per chilometri con una gerla di vimini in spalla, tra sentieri impervi e mulattiere, al fine di rifornire i 31 battaglioni schierati sulla Carnia, costantemente sotto la mira dell’esercito austriaco.
Nonostante i rischi a cui erano state ripetutamente esposte e le enormi responsabilità che in poco tempo si rovesciarono sulle loro spalle, le donne avevano risposto con coraggio e determinazione all’emergenza della guerra, ricoprendo ruoli impegnativi fino ad allora di competenza esclusiva maschile, garantendo così un sostegno alle economie dei Paesi. Erano le signore a badare ai figli e alla casa, a rammendare le uniformi, e a guidare i Comitati cittadini di assistenza, di Propaganda, il Comitato Dame della Croce Rossa e varie forme di mobilitazione civile di supporto e aiuto per le famiglie dei militari.
Il cambio di prospettiva in una quotidianità più faticosa aveva permesso di definire un nuovo profilo femminile che si sedimentò nel dopoguerra, incentivando radicali trasformazioni anche nel campo della moda, non più trionfo di pizzi e trine, come nella Belle Epoque, ma emblema di uno stile più semplice e austero. I bustini si fecero più bassi, evitando di intralciare i movimenti del corpo, le gonne, diventate un fastidioso inciampo per le lavoratrici, si accorciarono fin sulla caviglia e i capelli si liberarono dalle acconciature sofisticate per sciogliersi in tagli sbarazzini.
Il conflitto, dunque, aveva innescato un processo irreversibile di emancipazione per una donna sempre più consapevole delle proprie capacità, pronta ad affacciarsi a una nuova vita nel mondo e nella società, senza voltarsi indietro.