Video da portale Rai dedicato alla Grande Guerra
Il recuperante della Grande Guerra
Terminata la Prima guerra mondiale, i civili così come i reduci devono fronteggiare le difficoltà del dopoguerra. Soprattutto nelle aree coinvolte dagli scontri, molte famiglie si trovano senza case né terreni da coltivare.
Le montagne, che fino a poche settimane prima erano state lo scenario di duri scontri, ora custodiscono ciò che era rimasto della Grande Guerra e che non era stato portato via dal Genio militare, incaricato di organizzare la rimozione dei residuati bellici per rendere inoffensivi gli esplosivi. Gli abitanti di quelle zone non possono a recarsi in quelle aree ma per via delle ristrettezze economiche e della fame le regole vengono infrante.
Nasce in questo difficile contesto la figura del recuperante. In genere sono gli uomini, ma non mancano i bambini coinvolti, che partono per le montagne muniti di badile, piccone, pane e formaggio per affrontare le lunghe giornate tra le alture. Si tornava poi a valle con tutto ciò che poteva essere riutilizzato, venduto, fuso: stufette da trincee, le coperture delle baracche, cucine da campo, vettovaglie, bossoli inesplosi, rame, ferro, piombo, rottami. Un’attività pericolosa poiché si poteva incappare in materiale inesploso.
Quei boschi nel corso degli anni riportano alla luce anche le salme di colore che non avevano avuto degna sepoltura. Per il recupero dei corpi, lo Stato italiano retribuiva ogni ritrovamento con 20 lire, 5 lire in più del salario di un operario. Questa pratica non è durata a lungo. I corpi, una volta recuperati, vengono in seguito inumati nei sacrari e negli ossari durante gli anni ’30.