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Raffaele Rossetti (sx) e Raffaele Paolucci (dx) - Fonte: Immagini di pubblico dominio Raffaele Rossetti (sx) e Raffaele Paolucci (dx) - Fonte: Immagini di pubblico dominio
Affondamento della Viribus Unitis - Immagine di pubblico dominio Affondamento della Viribus Unitis - Immagine di pubblico dominio
Ancora della Viribus Unitis a Roma, Palazzo della Marina - Fonte: Immagine di pubblico dominio Ancora della Viribus Unitis a Roma, Palazzo della Marina - Fonte: Immagine di pubblico dominio

  

Fonte: Marina Militare

15 Novembre 2018
Gli approfondimenti
 

Ippolita Paolucci: mio padre, un uomo d’azione

Intervista alla fotografa e figlia di uno dei protagonisti dell’Impresa di Pola

 

Mentre sulla terra ferma le armate al comando del Generale Diaz erano schierate e intente in quella che verrà ricordata come la battaglia di Vittorio Veneto, anche sui mari il conflitto imperversava. La Regia Marina del Comandante Paolo Thaon di Revel, nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre avrebbe compiuto un’azione navale nel Golfo di Pola che sarebbe passata alla storia come l’Impresa di Pola.

L’affondamento della corazzata nemica Viribus Unitis avvenne per mezzo della cosiddetta “mignatta”, un apparecchio motorizzato e dotato di ordigni sganciabili da fissare sulla chiglia della nave. L’esplosione avvenne attorno le 6.30 del 1 novembre ma le operazioni erano iniziate alle 22 della sera precedente. Protagonisti furono l’ingegnere del Genio Navale Raffaele Rossetti, che elaborò il piano e il progetto tecnico, e il tenente medico Raffaele Paolucci. Trasportarono poi a nuoto l’ordigno, per un tratto a motore spento, nelle acque istriane riuscendo, dopo molte difficoltà dovute alla poca visibilità notturna, alla pioggia che non cessava a eludere la vigilanza nemica e a portare così a termine la loro missione.

 

Signora Ippolita, chi era suo padre?

Raffaele Paolucci fu, soprattutto, un grande chirurgo e accademico. Fu lui che introdusse in Italia alcune tecniche di chirurgia polmonare ed ebbe fama internazionale come scienziato. Era sicuramente un uomo d’azione. E fu anche per questo che, tenente medico ventiseienne, ebbe l’idea di introdursi in un porto nemico portando un ordigno esplosivo, mentre Rossetti (cui sarà compagno d’impresa), a La Spezia, parallelamente andava ideando e sperimentando la Mignatta.

 

Quella di Pola è stata un’impresa incredibile. Suo padre cosa le ha raccontato di quella lunga notte?

C’è un libro, intitolato Il mio piccolo mondo perduto, in cui, oltre a riportare la relazione ufficiale della spedizione, che è molto avvincente ed entra nei particolari di quella notte, lui racconta anche tutto il periodo antecedente, quello dei preparativi nella laguna veneta e nell’Arsenale di Venezia. Per me è sempre stata una specie di fiaba, conosciuta fin dall’infanzia.

 

C’è stato un momento, un ricordo in particolare come può essere il dolore fisico dopo tante ore in acqua o alcuni pensieri, anche per gli affetti lontani, che hanno attraversato la mente di suo padre, soprattutto quando venne catturato dall’equipaggio austroungarico?

Le cose che colpiscono di più sono: i primi esperimenti notturni in acqua per arrivare a fare 12 chilometri a nuoto portando, nel caso di Paolucci, una botte riempita di acqua per simulare il peso del siluro; le iniezioni canfora che è un vasodilatatore, eccita l’apparato cardiovascolare e produce sensazione di calore; il senso di freddo anche interno provato nonostante questi accorgimenti, dato che la tuta di stoffa impermeabile era del tutto insufficiente alla protezione; una specie di sacchetto che lui portava al collo, fattogli da mia nonna, con dentro una medaglia e i capelli suoi e di mio nonno; il fatto che avessero una specie di fiasco “mimetico” sulla testa; la certezza, al momento della cattura, ma anche nei giorni successivi, precedenti alla liberazione, di essere ucciso.

 

Con l’affondamento del Viribus molti militari persero la vita. Tra questi anche il Comandante Janko Vuković: è vero che suo padre e Rossetti aiutarono la vedova e il figlio di Vuković?

La morte di membri dell’equipaggio, oltre la Comandante, è sempre stata dubbia. L’equipaggio era stato avvisato in precedenza dell’esplosione ed era stato dato il Si salvi chi può, erano state messe le scialuppe in mare e nel cimitero Militare di Pola non c’è traccia di questi morti. Altri dicono che morirono 300 o addirittura 400 marinai. Paolucci e Rossetti vennero a conoscenza del precario stato economico della vedova del Comandante Vuković e le diedero la somma che permise poi al figlio di continuare gli studi e diventare medico a Vienna.

 

Il comandante Giovanni Battista Scapin, nel rapporto che stilò suo padre qualche settimana dopo l’impresa, disse a Rossetti e Paolucci “L’Italia non vi dimenticherà”. Ha mai avuto la sensazione, nel tempo, che invece l’impresa o i suoi protagonisti siano mai stati dimenticati?

Forse più che dimenticati, perché a tutt’oggi il ricordo è ancora incredibilmente vivo, non sufficientemente ricordati, rispetto ad altre azioni simili (penso ad esempio a quella di Luigi Rizzo, che ebbe fin da subito un forte risalto anche “mediatico”), e questo nonostante da un punto di vista anche solo strettamente fisico, la spedizione di Pola abbia richiesto uno sforzo e un coraggio forse non raggiunto da altri. E’ possibile che ciò sia dipeso dal fatto che l’azione fu compiuta “fuori tempo massimo”, quando da poche ore la nave era già passata in mani Yugoslave, nonostante Rossetti (dal 1915) e Paolucci (dal 1917) avessero insistito per accelerare i tempi.

 

Nel corso degli anni le vite dei due protagonisti dell’Impresa di Pola presero strade diverse. Si sono rivisti o tenuti in contatto?

Credo si siano rivisti solo una volta a Roma. Paolucci era nel Blocco Nazionalista, poi fu deputato e vicepresidente della Camera anche durante il ventennio, pur se in modo onorifico, data la sua professione principale di chirurgo, Rossetti era invece diventato repubblicano e in seguito, con il fascismo dovette andare in esilio in Francia. Ma c’era grande stima reciproca tra i due.

 

Lei, signora Paolucci, è una fotografa e la sua attività continua a incrociare gli eventi della Grande Guerra. Cosa la spinge a dare voce e soprattutto un nuovo sguardo ai luoghi della memoria attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica?

Ho iniziato fotografando il fronte alpino della Prima guerra mondiale, in un lavoro intitolato Paesaggi guerra. Sguardi dal fronte alpino del ’15 – ’18. E questo è legato al mio essere una paesaggista, al grande interesse per la montagna e ai racconti di mia madre sulla cosiddetta “Guerra bianca”. L’altro lavoro sull’argomento, L’affondamento della Viribus Unitis: l’ultima azione della Prima guerra mondiale nel racconto dei protagonisti è invece la storia dell’impresa di Pola, in cui ho unito a fotografie attuali fatte da me (nei luoghi rivisitati e ritrovati dei preparativi e dell’azione), molte fotografie di repertorio, oltre a un montaggio delle memorie di Paolucci e Rossetti, che vengono recitate da due attori.

 

Quando passa davanti al palazzo della Marina, dove svetta maestosa una delle ancore della corazzata Viribus cosa pensa?

Sicuramente, ogni volta, mi fa venire in  mente mio padre.

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