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Foto: Animals in War memorial, London ©CC BY-SA 3.0

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Lavoratrici che misurano il vetro per maschere antigas al Crowndale Works a Camden Town, Londra, 1918 © IWM (Q 28546)

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Foto: Il capitano Francis Derwent Wood esamina il volto di un paziente, 3° London General Hospital © IWM (Q 30458) Foto: Il capitano Francis Derwent Wood esamina il volto di un paziente, 3° London General Hospital © IWM (Q 30458)
Foto: Il volto di un paziente ricoperto di gesso dal capitano Francis Derwent Wood per realizzare la maschera che nasconde le ferite, il 3 ° London General Hospital © IWM (Q 30453) Foto: Il volto di un paziente ricoperto di gesso dal capitano Francis Derwent Wood per realizzare la maschera che nasconde le ferite, il 3 ° London General Hospital © IWM (Q 30453)
9 Novembre 2018
News
Gli approfondimenti
 

Calchi d'argilla e mascherine, gli albori della chirurgia estetica

Il maggior numero dei soldati feriti nella Grande Guerra aveva riportato lesioni devastanti soprattutto al volto e ciò accadeva perché le trincee proteggevano in buona parte il corpo, ma lasciavano senza scampo le teste che vi si sporgevano diventando il primo bersaglio e il più vulnerabile.

 

Facce deturpate dal fuoco e dalle schegge dei proiettili. Sostituire con la protesi un arto non era complicato quanto ridare dignità a un giovane viso devastato. Una delle consuetudini più diffuse dell'epoca era quella di applicare una protesi di metallo a copertura della parte lesa. Un campo nel quale si distinse il laboratorio della Croce Rossa, fondato a Parigi dalla scultrice americana Anna Coleman Ladd, dove calchi d’argilla servivano da base per realizzare protesi sottilissime in rame zincato. Simili a maschere, dipinte in modo da renderle più simili alla pelle, si legavano dietro la testa con stringhe di cuoio o semplicemente montate su un paio di occhiali.

 

Fu il proliferare di feriti e mutilati durante il conflitto – soprattutto dopo la battaglia della Somme – a spingere medici e scienziati a sperimentare nuove tecniche di chirurgia maxillofacciale. Il primo intervento di ricostruzione estetica con trapianto di pelle lo si deve al neozelandese Sir Harold Gillies Delf, considerato il padre della chirurgia plastica moderna, quando nel 1917 operò il marinaio inglese Walter Yeo, arruolato nella Royal Armi e rimasto ustionato in seguito a un terribile incidente durante lo scontro navale dello Jutland.

Il dottor Gillies intervenne su altre centinaia di pazienti anche nel dopoguerra e sviluppò la tecnica innovativa di innesto di lembi di pelle a forma tubolare, molto efficace contro il rischio di infezione che fino ad allora era stata tra le cause più diffuse di decesso post-intervento.

Nel suo libro "Chirurgia plastica del volto" - pubblicato nel 1920 - Gillies stabilì i principi della chirurgia estetica moderna adottati in seguito dagli specialisti di tutto il mondo. 

 

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