Grossi come felini i topi di trincea
“In compagnia con i ratti, topi enormi che ve ne sono un'infinità. Che cosa è l'abitudine: la prima volta che li ho visti mi hanno fatto impressione, e poi abbiamo cominciato a prenderli a fucilate. Ora non mi fanno più specie, e quasi sempre dormo con tre o quattro di queste bestie sul mio corpo”*. Così dal Monte Coni Zugna scriveva con tono quasi rassegnato, Francesco De Peppo, uno dei ragazzi del '99, mandati a combattere la Prima guerra mondiale a partire dal 1918.
Il suo racconto è solo uno dei tanti di soldati e ufficiali che tra le pagine dei loro diari si soffermavano a descrivere episodi simili della vita quotidiana al fronte. Scarafaggi, topi e pantegane attirati dalle scarse condizioni igieniche erano portatori di virus e batteri che si diffondevano con estrema facilità in quelle fosse malsane e acquitrinose di trincea, tra militari ammassati.
I ratti, grossi come felini, si nutrivano di cadaveri, rosicchiando sacchi di tela e perforando le uniformi per arrivare fino alla carne. Proprio loro che scorrazzavano tra latrine e pozze d’acqua sporca, erano i portatori dei pidocchi, responsabili della cosiddetta ‘febbre da trincea’.
Si calcola che il 30% delle vittime italiane morì a causa di infezioni e malattie. Nel 1918 infuriò anche l'ondata di epidemia Spagnola, che seminò morte in diversi Paesi del mondo.
*Per la lettera si ringrazia il Gruppo L'Espresso e l'Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano