Fucilati a Cercivento, Marini: giusto riaprire questione che altrove è già stata affrontata e risolta
Venerdì 1° luglio, a Cercivento, con una cerimonia solenne promossa dal Comune in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia, è stata rievocata la fucilazione di quattro giovani alpini friulani del battaglione “Monte Arvenis”. A distanza di cento anni, si è tornato a chiedere la riabilitazione di Giovanni Battista Coradazzi, Angelo Massaro, Basilio Matiz e Silvio Gaetano Ortis, giudicati colpevoli per avere disobbedito agli ordini impartiti dal loro comandante che voleva spingerli in una missione troppo rischiosa.
Anche il presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, Franco Marini ha preso parte alla cerimonia. Di seguito il suo contributo:
Il centenario della Grande Guerra ha riproposto all'attenzione del Paese il tema dei militari e civili italiani caduti per fucilazione dopo processo o per esecuzione sommaria e decimazione. Esiste una sensibilità forte e motivata, non solo qui, a Cercivento, dove quattro alpini furono passati per le armi per aver contestato l'ordine di attaccare la vetta del Cellon, senza copertura di artiglieria ed in pieno giorno.
Non è mia intenzione rubare il mestiere agli storici né, tantomeno, al legislatore che sta lavorando ad un disegno di legge di iniziativa parlamentare (ora all'esame del Senato dopo l'approvazione della Camera dei Deputati ) per la riabilitazione dei soldati condannati alla pena capitale.
Mi limito a ribadire che credo sia stato giusto riaprire una questione che in altre nazioni è già stata affrontata e in qualche caso risolta.
L'esercito italiano ha registrato in assoluto il più alto numero di fucilati e giustiziati tra quelli coinvolti nel primo conflitto mondiale, cioè di eserciti che hanno mandato a combattere molti più uomini e che sono stati impegnati dieci mesi in più del nostro (la Francia, ad esempio, aveva al fronte il doppio quasi dei nostri soldati e porta davanti al plotone circa 700 soldati): già solo questo fatto fa comprendere l'asprezza senza pari utilizzata dai comandi italiani.
Come pure è noto - ne parla ad esempio Piero Melograni nella sua "Storia politica della Grande Guerra" - che gli stati maggiori, a cominciare dal generale Cadorna (viene citata una sua lettera del 1916 in proposito) incoraggiavano il ricorso alle decimazioni per scoraggiare atti di insubordinazione delle truppe.
Nella straordinaria opera di Alberto Monticone ed Enzo Forcella del 1968 "Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale" possiamo leggere di sentenze capitali giustificate con l'obiettivo di fornire <salutare esempio> contro la propaganda neutralista. Già da questi scarni riferimenti si ricava l'impressione che sia oltremodo giustificato dedicare alla questione tutta l'attenzione scientifica, giuridica e legislativa necessaria per restituire l'onore a quanti ingiustamente sono stati considerati traditori della patria.
<Un Paese dalle solide radici come l'Italia non deve avere il timore di guardare anche alle pagine più buie e controverse della propria storia recente> ci ha ricordato a maggio dello scorso anno il presidente Mattarella nel messaggio indirizzato al convegno promosso dal Museo Storico della guerra a Rovereto dedicato a "L'Italia nella guerra mondiale ed i suoi fucilati: quello che (non) sappiamo".
E' questo lo spirito con cui procedere nel nome della verità e della giustizia.