PATRIA E GUERRA PER I SOCIALISTI ITALIANI
di Dino Cofrancesco
Se la reazione del Partito Socialista dinanzi allo scoppio della prima guerra mondiale, consegnata ai documenti ufficiali della Direzione, agli articoli sull’Avanti!’, ai discorsi parlamentari , ai numerosi comizi tenuti in ogni parte d’Italia, fu sostanzialmente lineare—una posizione, va detto, ispirata sostanzialmente al ‘non aderire, non sabotare’ di Costantino Lazzari e giustificata dallo scontro in atto tra le grandi potenze capitalistiche, mascherato dalle più diverse idealità—assai più complessa e variegata fu la reazione della ‘cultura politica’ al drammatico evento che avrebbe segnato la ‘finis Europae’, sottesa alle diverse analisi elaborate dalle molte anime conviventi, spesso conflittualmente, al suo interno. Com’è noto il Partito Socialista adottò, all’interno della Seconda Internazionale, una linea non condivisa da nessun altro partito europeo e, tuttavia, al di là delle nobili motivazioni e delle fondate preoccupazioni che l’ispiravano (specialmente nel suo leader, per così dire, morale, Filippo Turati, sicuramente una delle figure più rispettabili della storia dell’Italia unita, a ripensarla in questi ‘anni difficili’ ,senza retoriche buoniste di sorta, è difficile condividere in toto l’ esaltazione che ne ha fatto Gaetano Arfè. < Il trauma dell'intervento—ha scritto polemicamente lo storico campano--fu tale che ancora oggi esso è oggetto di ricorrenti polemiche storiografiche, che risentono, come è naturale, dei mutamenti del clima politico: non si celebra più "la gloria di Zimmerwald" che Modigliani levò a bandiera anche nella seconda guerra mondiale, ma il "socialismo tricolore” con qualche accento autocritico per il mancato interventismo di Filippo Turati>.
In realtà, a ben riflettere, l’atteggiamento tenuto dal PSI rifletteva una debolezza: la mancata—o, per meglio dire, insufficiente—integrazione della classe operaia nella comunità nazionale che portava le masse operaie e, soprattutto, contadine—come riconosceva l’interventista mazziniana Maria Rygier—a guardare allo stato sabaudo come alla ‘patria di Lor Signori’. E tuttavia, è non poco significativo che all’interno della sinistra rivoluzionaria (e ‘sovversiva’ come si disse), come della destra riformista, già prima dei cannoni di agosto, fosse ben presente il tema dello Stato nazionale e fortemente sentita la necessità dell’<irrobustimento della fibra nazionale, mediante la formazione, nelle masse proletarie, di una più precisa coscienza della indissolubilità del rapporto tra grandezza della patria e potenza del proletariato; e dell’integrarsi degli interessi della classe lavoratrice in quelli della stirpe>, per citare la risposta di Angiolo Cabrini all’inchiesta promossa, nel 1913, dalla Libreria Editrice Moderna di Genova ,Il nazionalismo giudicato da letterati, artisti, scienziati, uomini politici e giornalisti italiani. Cabrini, nel 1915, si ritrovò, nelle fila dell’interventismo democratico, accanto a Leonida Bissolati e a Giuseppe Canepa, ma altre figure del socialismo italiano di diverso orientamento ideologico, come Antonio Graziadei, che pure rimase avverso all’entrata in guerra dell’Italia (e che avrebbe aderito al Partito Comunista d’Italia), espressero preoccupazioni analoghe a quelle del sindacalista di Codogno in un libro Idealità socialiste e interessi nazionali nel conflitto mondiale che fu molto apprezzato da Giovanni Gentile, nella recensione che ne fece il 18 febbraio 1918, Il socialista nell’imbarazzo (non ne parla il maggiore studioso di Graziadei, Pietro Maurandi, e pour cause). Il nationalism socialista—di destra e di sinistra—è stato rimosso, finora, come errore o una colpa:forse, è venuto il momento di ripensarlo sine ira ac studio.