Giovanni Gentile. La grande guerra come conclusione delle guerre risorgimenali
di Hervé A. Cavallera
La scelta interventista di Gentile, che lo differenzia sul piano speculativo dalla posizione di Croce, si basa sulla intrinseca natura del suo pensiero che, fondandosi sull'unità in atto, implica il necessario compimento di quello che è in quanto dev'essere. In realtà, la stessa natura dell’attualismo lo conduce ad evitare il “non prendere posizione”, che peraltro Gentile lamenta essere proprio di un individualismo particolaristico.
Sotto questo profilo, il filosofo non può non solo aderire all'intervento militare, ma deve intenderlo come conclusione delle guerre risorgimentali e come verifica della formazione della coscienza nazionale. La guerra è pertanto letta, vissuta, interpretata in chiave metapolitica, e per tale ragione si esce atualisticamente dalle prospettive individualistiche e si afferma l’animus del popolo. Il tutto non per una logica nazionalistica, ma in vista di una collaborazione spirituale (la sintesi) in cui vi sia l’apporto costruttivo delle diverse nazioni. In questo senso, il problema educativo coincide con quello morale e questo con quello politico, sì da determinare le scelte che Gentile avrebbe poi fatto negli anni successivi alla guerra.