Redipuglia e i caduti
di Hannah Malone
storica dell'architettura, lavora al Magdalene College dell'Universita' di Cambridge
Oltre centomila caduti riposano nel sacrario di Redipuglia, il più grande luogo di sepoltura della Grande Guerra in Italia e uno dei maggiori in Europa. Fu creato tra il 1935 e 1938 per dare un luogo di riposo permanente ai morti che, inizialmente, furono seppelliti in piccoli cimiteri militari vicino ai campi di battaglia. Raccoglie salme che furono esumate da ottantanove siti di sepoltura nelle vicinanze. Sorgendo sui fianchi dell'altopiano carsico che fu teatro delle durissime battaglie dell’Isonzo, il sacrario valorizza e controassegna quei luoghi dove i soldati combatterono e morirono. È un monumento d’importanza nazionale che ricorda il fulcro della storia dell’Italia moderna, ed è parte del patrimonio comune degli italiani, ma ha anche una dimensione europea ed un significato sovranazionale. In occasione del Centenario della Grande Guerra, sarà oggetto di un vasto intervento di restauro da parte del Ministero della Difesa e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Parallelamente, si sta conducendo una ricerca storica tra il materiale contenuto nell’Archivio della Commissione delle Onoranze ai Caduti per individuare la posizione di Redipuglia nella memoria storica.
Redipuglia racchiude i caduti in una colossale scalea di gradoni di pietra che ascende la collina, conformemente alla topografia del paesaggio. Le tre croci in cima alla scalinata si riferiscono al Calvario ed associano il sacrificio di Gesù a quello dei caduti che s’immolarono per la patria. Nell’ascendere l’imponente scalinata, è come se il visitatore si facesse pellegrino che ringrazia i morti e riafferma la propria fede negli ideali patriottici che hanno causato tanto sacrificio. Il sacrario si chiama così perché ospita le ‘reliquie’ dei martiri caduti per l’Italia. Il simbolismo religioso accorda sacralità al monumento, ricollegandolo alla tradizione rinascimentale del Sacro Monte, o del percorso devozionale tra cappelle poste in salita.
Delle centomila salme, meno di quarantamila sono note; ad esse sono dedicate piccole nicchie targate con lastre. Si è cercato di ricostruire l’identità di ogni caduto, e di fissare sulla lasta di ognuno il grado, il cognome, il nome, ed il battaglione relativo, ma restano molte lacune. Non è stato possibile identificare oltre sessantamila caduti che rimangono ignoti, e che sono raccolti in una cripta in cima al monumento. Nello scalone, i caduti sono organizzati, non per grado, ma in ordine alfabetico in uno spirito di uguaglianza. L’unica donna, Margherita Orlanda, una crocerossina morta a ventun anni, è la prima della fila e la sua lapide è contraddistinta da una croce. Sei tombe sono separate: la più grande, davanti alle altre, è quella del Duca d’Aosta, il Comandante della Terza Armata. Dietro al Duca, sono allineate le cinque tombe dei suoi generali. La configurazione è simbolica e evocativa. È come se i caduti risuscitati fossero tornati a combattere, con i soldati in linee serrate dietro ai loro condottieri. Metaforicamente, è come se l’armata schierata stesse per incamminarsi lungo la ‘Via Eroica’, lo stradone che conduce al sacrario e che è marcato dal trentotto lapidi dedicate alle battaglie che si combatterono in quella zona.
La parola ‘PRESENTE’ è incisa a grandi caratteri sulle facciate delle scale. Questo è un riferimento al rito dell’appello, secondo cui durante le cerimonie militari, il comandante gridava il nome di un caduto ed i suoi commilitoni rispondevano ‘presente’. La ripetizione ossessiva della parola ‘presente’ trasmette l’idea che i caduti saranno eternamente presenti nel ricordo dei viventi. Data la posizione del sacrario nella Venezia Giulia, cioè nel territorio che fu annesso all’Italia al seguito della Grande Guerra, è come se i caduti facessero da ‘sentinelle’ ai nuovi confini della nazione, offrendo protezione ai vivi.
Il sacrario è il prodotto di una collaborazione tra l’architetto Giovanni Greppi (1884–1960) e lo scultore Giannino Castiglioni (1884–1971). Insieme Greppi e Castiglioni completarono numerosi sacrari della Grande Guerra, ma oggi il loro nome è ricordato da pochi. A Redipuglia, crearono un’opera unica nella storia dell’architettura, contrapponendo elementi contrastanti, quali modernità e tradizione, paesaggio e costruzione, scultura e architettura. Pur essendo un’opera monolitica e monumentale, il sacrario si estende sul declivio della collina, diventando un’estensione artificiale del paesaggio naturale. La forma trae spunto dalla tradizioni dell’architettura classica, per esempio, lo scalone gentilizio, la fontana monumentale e l’antico colombario, ma lo stile è inimitabilmente moderno. L’architettura è progettata attorno agli spazi o alle parti vuote, invece che le parti solide, come si addice alla sua funzione di un percorso ‘devozionale’ e contenitore di folle. Frutto di una cooperazione tra un architetto ed uno scultore, il monumento si trova al limite tra arte e architettura, dato che il progetto si sviluppa in senso più simbolico, che funzionale.
Il sacrario fu costruito dal regime fascista per raggiungere principalmente tre obiettivi: la ‘centralizzazione’, ‘concentrazione’ e ‘monumentalizzazione’ della sepoltura dei caduti. L’intento era di concentrare i morti in pochi grandi sacrari, piuttosto che lasciarli sparsi tra numerosi cimiteri di modeste dimensioni. In questo modo, si creavano destinazioni monumentali dove migliaia di visitatori provenienti da ogni parte d’Italia potevano recarsi per rendere omaggio ai caduti. Nel dopoguerra, il sacrario era solito accogliere soprattutto reduci, scolari e parenti dei caduti e, a questo fine, fu posizionato strategicamente vicino a strade e ferrovie per facilitarne l’accesso. Le vaste dimensioni e forme monumentali, che contribuirono a dare sepoltura onorevole ai caduti glorificandone la memoria, fornirono anche una scenografia grave e solenne a cerimonie commemorative che si tengono tutt’ora. Infine va sottolineato che il sacrario diede un importante contributo alla economia locale, ed ebbe un finanziamento di oltre dieci milioni di Lire (quando la paga media giornaliera di un lavoratore era meno di dieci Lire). Il progetto fu un’opportunità per alleviare la disoccupazione, soprattutto tra i reduci di guerra, in una zona economicamente depressa. Occorre aggiungere che si decise di usare materiali del luogo per motivi pratici ed economici.
Il sacrario di Redipuglia sostituì il cimitero del Colle Sant’Elia (1923), creato nel dopoguerra per accogliere la salme degli ‘invitti’, o mai vinti, della Terza Armata.
Il cimitero di Colle Sant’Elia era formato da gironi ascendenti e concentrici che circondavano la collina come il Purgatorio dantesco. Non somigliava affatto agli altri cimiteri nel senso che ricordava le trincee ed il paesaggio arso e brullo dei campi di battaglia sul monte Carso. Era decorato da lapidi ed epigrafi individuali e da cimeli di guerra, che includevano le armi e gli elmetti dei caduti. All’inizio degli anni Trenta, si reputò che Colle Sant’Elia fosse in cattive condizioni e di difficile mantenimento. Originariamente, si pensò di sistemare i gradoni in modo permanente e di aggiungere un’entrata monumentale assieme alla tomba del Duca D’Aosta. A questo fine, gli architetti Pietro del Fabro e Ghino Venturi disegnarono un progetto che rispettava il carattere semplice, sassoso e desolato del cimitero del 1923. Alla fine, si optò per trasferire le salme a un nuovo monumento a Redipuglia. Il cimitero di Colle Sant’Elia fu demolito ed eventualmente trasformato in un Parco della Rimembranza dove si possono ancora trovare alcuni dei monumenti. La differenza fondamentale tra Redipuglia ed il Colle Sant’Elia riguarda il carattere monumentale del nuovo sacrario e la sistemazione delle salme in senso egalitario secondo rituali identici per ogni caduto. Sostanzialmente, lo scopo del sacrario di Redipuglia fu quello di garantire che i caduti fossero sistemati definitivamente e che il loro ricordo perdurasse tra le generazioni future.
La funzione di Redipuglia come monumento nazionale è cambiata radicalmente nel corso degli anni, dalle origini negli anni Trenta, ad oggi. Il significato del sacrario può essere letto a seconda di due interpretazioni alternative: da un lato c’è chi lo interpreta alla luce del ruolo celebratorio, oltreché commemorativo, ascritto sotto il fascismo; da un altro lato c’è chi lo intende in base alla parte che esso riveste attualmente nell’Italia contemporanea. Essenzialmente, il sacrario è un’opera d’arte di importanza internazionale, all’avanguardia dell’architettura moderna. Esso ricorda un evento fondamentale nella storia d’Italia nel formare le basi dell’identità europea. Tuttavia, ciò che è forse più importante è che il sacrario è un’esortazione a non dimenticare migliaia di italiani che persero la vita in guerra.