Marini: ‘Grande Guerra, ricordare è un dovere’
Di seguito potrete leggere l'intervista rilasciata dal Presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, Franco Marini, al Giornale di Sicilia, a firma di Antonella Filippi.
Oggi quel campo di morte che fu l’Europa “per un arciduca in meno”, come ironizzò l’Herald di New York, è silenzioso. Più o meno. La Grande guerra divorò una generazione di giovani uomini, dimezzò le capacità industriali di tante nazioni e, cento anni dopo, ben più di cento milioni di morti sono direttamente o indirettamente attribuibili a quella guerra: da lì sfociarono i totalitarismi e il mondo imboccò l’imbuto che lo condusse alla Seconda guerra mondiale. Quell’infernale carneficina avviò il suicidio dell’Europa, allora continente prospero e colto, e aprì le porte al secolo americano. Autodistruzione allo stato puro, su cui è il caso di ritornare con la memoria e di riflettere, cento anni dopo.
Per questa ragione Franco Marini sarà a Palermo: a Palazzo dei Normanni accolto dal presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone e nel primo pomeriggio parteciperà a un convegno, durante il quale interverrà Anthony Barbagallo, primo firmatario del ddl, approvato dalla 5^ Commissione dell’ARS, sul ruolo della Sicilia nella Grande guerra del 1915-18. “La Sicilia – dice Marini - si è mossa in anticipo con il ddl di Barbagallo, spinto dall’Assessorato ai Beni culturali e all’Identità siciliana, che punta alla valorizzazione di luoghi legati alla Grande guerra. Un modello per il resto d’Italia”. In quei 41 terribili mesi è stato alto il contributo di vite umane dato dalla Sicilia con 44.000 morti in combattimento su tutti i fronti del conflitto - Isonzo, Dolomiti, Carso, Piave, Monte Grappa, Albania, Macedonia, Libia e Francia - il più alto del centro-sud, e la mobilitazione di circa 750.000 siciliani. Qui sono giunti 10.000 prigionieri austro-ungarici e 21.500 profughi veneto-friulani e sloveni, mentre lo Stretto di Messina veniva dichiarato zona di guerra per i continui attacchi dei sommergibili austro-tedeschi. A questi numeri vanno aggiunti i circa 30.000 disertori e renitenti.
Come si racconta alla generazione 2.0 una guerra di cento anni fa?
“Il rapporto con i giovani ha rappresentato la nostra maggiore preoccupazione. La Prima guerra mondiale è un fatto tragico sul piano degli effetti avuti in una Europa che stava attraversando un periodo di pace e di sviluppo. Il problema che si sono posti il Comitato che presiedo e la struttura di missione per la commemorazione del Centenario della Prima guerra mondiale, che opera presso la presidenza del Consiglio, è quello della conoscenza. I ragazzi delle scuole saranno sollecitati da una serie di iniziative preparate con gli insegnanti. Rai Storia trasmetterà un ciclo di film, facebook è diventata una piattaforma su cui reperire materiale indirizzato alla comprensione di questo dramma che sconvolse l’intera Europa, cioè il mondo, perché allora l’Europa era il pallino che teneva in mano lo sviluppo. Solo dopo i rapporti di forza sono cambiati”.
Quali sono gli obiettivi delle celebrazioni?
“La guerra ha accompagnato il cammino dell’umanità ma proprio a partire dalla Grande guerra, i passi avanti della tecnologia hanno portato alla più grande accelerazione del progresso tecnologico militare, con le conseguenze che conosciamo. Allora è determinante capire quanto è accaduto perché si rafforzi l’idea di fare tutto il possibile per evitare i conflitti e arrivare a soluzioni differenti. Per amare la pace, per inculcarla”.
Pareti di rocce che precipitano sulla pianura veneta: “le montagne raccontano” potrebbe essere l’incipit di una narrazione su questa guerra combattuta ad alta quota. Ma si è preferito non limitare il ricordo alle regioni coinvolte fisicamente, quelle del nord-est.
“Dall’Adriatico all’Adamello: la Grande guerra si combatté nelle regioni orientali, fino a parte della Lombardia, quella dell’Adamello, appunto. Abbiamo voluto evitare che il ricordo si limitasse alle zone coinvolte: certo, in quei luoghi la sensibilità è maggiore ma nelle trincee, in condizioni spaventose, si realizzò il primo momento della nostra unità nazionale. Allora l’unità aveva 53 anni, un battito di ciglia rispetto ai processi di sviluppo delle grandi nazioni europee”.
Quindi fu proprio questa guerra a completare il processo unitario, portando a compimento il sogno garibaldino?
“Tra quei monti si ritrovarono insieme il fante siciliano eabruzzese con l’alpino veneto, friulano, in una condizione di sofferenza inumana. Io credo che la Grande guerra per l’Italia sia stata l’ultima guerra del risorgimento per l’indipendenza. Nel nostro paese sono stati fondamentali i cambiamenti sociali, penso al ruolo delle donne nelle campagne e nelle fabbriche, un avanzamento che non si è mai più fermato. Con questa quarta guerra del risorgimento sono rientrate in Italia Trieste e il Trentino, grande passo verso la costruzione di una unità popolare. L’Italia rispetto ad altre nazioni come la Germania ha potuto contare su una forte tenuta interna”.
Una memoria della Grande guerra non può che essere una memoria europea condivisa.
“L’Europa ha sacrificato a questa guerra dieci milioni di persone. L’unità europea non deve essere solo di popoli, occorre soprattutto una politica estera e di difesa comune ai 28 paesi dell’Unione, perché sia unico lo sforzo di non riportare il mondo in guerra. Purtroppo l’Europa in questo momento non sta giocando un ruolo confacente alla sua forza economica, mi auguro che la Mogherini prenda adeguate iniziative attraverso strumenti internazionali più efficaci”.
“Unica alternativa all’Europa unita è la guerra”, sosteneva Francois Mitterand. Rafforzare l’Europa, dunque, per spegnere i focolai accesi nel Mediterraneo, in Medioriente, in Ucraina, che rendono la pace illusoria
“Una dimostrazione di credere molto nell’Europa è venuta dall’Italia, proprio in occasione di queste celebrazioni, decidendo di avviarle già nel 2014, mentre il suo ingresso in guerra è avvenuto nel 1915: ci siamo associati per dare un senso comune.Imparare dagli orrori del passato e accelerare una unità politica europea sono due passaggi indispensabili per non scivolare mai più in un conflitto”.
Commemorare la guerra per celebrare la pace: quali sono le iniziative programmate dal Comitato?
“Abbiamo già inaugurato a Roma una mostra con cinquanta foto di guerra sulle montagne. Redipuglia ha ospitato il concerto di Riccardo Muti che ha diretto il “Requiem” di Verdi, alla presenza del presidente Napolitano, e dei rappresentati di Slovenia, Croazia e Austria, i paesi confinanti: un segno nei confronti dei caduti di tutte le guerre, al di là di ogni appartenenza. Abbiamo appoggiato il film “Torneranno i prati” di Ermanno Olmi girato sull’altopiano di Asiago, uno dei luoghi dove gli scontri sono stati più duri. In giro c’è un ricordo profondo del dramma, dalle famiglie è arrivata una grande quantità di cimeli, foto, diari, per questo abbiamo in previsione la realizzazione di un grande memoriale per lasciare ai giovani uno strumento multimediale ricco di informazioni. Insomma, tutto il possibile per catalizzare l’attenzione”.
E poi c’è il recupero di 100 sacrari.
“Quasi tutti i comuni hanno almeno un monumento ai caduti di quell’eccidio, lì a far riemergere il senso di quella tragedia europea: allora abbiamo chiesto al Miur il censimento di questi monumenti. Con le modestissime risorse attuali, abbiamo lanciato “100 monumenti per 100 anni”: speriamo di recuperare, con il supporto dei comuni, un sacrario per provincia e promuovere un momento di riflessione forte per una cultura di pace”.